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La chimica delle mascherine: tipologie, materiali e sostenibilità

Portafogli, cellulare, chiavi di casa e…mascherina! Negli ultimi mesi la mascherina è diventata al pari dei nostri effetti personali un must have, oggetto senza il quale non possiamo più uscire di casa.

Dalla campagna pubblicitaria voluta dal Ministero della Salute all’obbligo di indossarla nei luoghi chiusi, abbiamo ormai imparato a conviverci. Nonostante il caos iniziale, sembra che adesso tutti conoscano la distinzione tra mascherina chirurgica o medicale, dispositivo di protezione individuale e mascherina “fai da te”. Per chi, data la confusione del periodo, si fosse perso qualcosa, di seguito riportiamo una distinzione tra i vari tipi e la diversa destinazione d’uso:

  • Mascherine non medicali o “fai da te”. Si tratta di mascherine non medicali, molto spesso cucite in casa con ritagli di tessuto o recuperati da vecchi indumenti o acquistati in merceria. Le mascherine non medicali possono essere indossate secondo quanto disposto dall’articolo 16 DL del 17 marzo 2020 n. 18, ma mantenendo le opportune distanze sociali perché non se ne conoscono le effettive capacità filtranti (e quindi preventive o protettive nei confronti del contagio virale). Rientrano in questa categoria anche molte mascherine realizzate da diverse aziende di moda o da altre aziende che si sono convertite alla produzione durante il periodo di emergenza.Le mascherine non medicali possono essere fabbricate in cotone o in tessuti sintetici (poliestere, nylon, polipropilene) ed acquistate in farmacia, shop online, negozi di abbigliamento ecc. Alcune mascherine “fai da te” vengono prodotte anche mediante stampa 3D.
  • Mascherine chirurgiche o ad uso medico: sono dispositivi medici (MD) di classe I secondo quanto disposto dalla Direttiva 93/42/CEE sui dispositivi medici recepita in Italia dal D. Leg. del 24 febbraio 1997, n. 46. Le mascherine ad uso medico hanno lo scopo di limitare la trasmissione di agenti infettivi evitando che chi le indossa possa contaminare l’ambiente. Sono utilizzate in ambiente ospedaliero e in tutti quei luoghi ove è prevista un’assistenza a pazienti (ad esempio case della salute, ambulatori, ecc). A seconda della tipologia si suddividono in tre classi: tipo I, tipo II e IIR (antispruzzo). La progettazione e la fabbricazione, nonché i requisiti prestazionali e di sicurezza di tali mascherine sono normate dalla EN 14683:2019. Si possono trovare sia mascherine monouso sia mascherine in tessuto lavabile o igienizzabile, in genere quest’ultime contengono al loro interno una tasca dove alloggia un filtro monouso (generalmente in polipropilene) che va sostituito dopo ogni singolo utilizzo.
  • Semi maschera facciale filtrante antipolvere: si tratta di dispositivi di protezione individuale (DPI) delle vie respiratorie che devono essere conformi al Reg. UE 2016/425 e i cui requisiti di salute e sicurezza devono rispondere alla norma tecnica UNI EN 149:2009. Le maschere filtranti si suddividono in FFP1, FFP2 e FFP3 a seconda della capacità filtrante e della efficienza respiratoria. Sono utilizzate in ambiente ospedaliero e assistenziale per proteggere l’utilizzatore da agenti esterni (anche da trasmissione di infezioni da goccioline e aerosol). Le facciali DPI sono per lo più monouso e non devono essere tenute per più di otto ore.

Per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19, le mascherine chirurgiche MD sono state equiparate ai DPI (Articolo 16 comma 1 DL 17 marzo 2020 n. 18). Ricordiamo inoltre che il DL 17 marzo 2020 n. 18, noto anche come Decreto Cura Italia è stato convertito in Legge 24 aprile 2020 n. 27. Infine, è da precisare che la maggior parte delle mascherine MD e DPI che troveremo in commercio fino alla data di fine emergenza sanitaria nazionale saranno prive del marchio CE, in quanto saranno state immesse in commercio previa autorizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Inail (MD e DPI rispettivamente) mediante un’autorizzazione in deroga.

Le mascherine DPI (FFP) hanno una progettazione ed uno sviluppo più complesso, nonché costi di produzione e certificazione molto più alti rispetto alle mascherine chirurgiche MD. Reperire mascherine FFP è stato difficile anche per le autorità competenti, soprattutto nei primi periodi dell’emergenza sanitaria, pertanto le diverse istituzioni sanitarie invitano i cittadini a comprare ed utilizzare le mascherine MD per lasciare i DPI agli operatori sanitari.

Chiarita la distinzione, l’uso ed anche gli aspetti legislativi, arriviamo al cuore della nostra argomentazione:

In un 2020 che avrebbe dovuto preparaci all’adozione di misure di riduzione, sensibilizzazione e raccolta differenziata della plastica monouso, le mascherine monouso che impatto hanno sull’ambiente?

Scopriamolo insieme, soffermandoci soprattutto sulla produzione delle mascherine chirurgiche monouso che sono indicate dalle autorità competenti come principale forma di controllo e prevenzione.

Nei primi anni del ‘900, le mascherine ad uso medicale erano costituite da multistrati di garze in cotone e quindi riutilizzabili. La struttura multistrato aveva il vantaggio di garantire un’elevata efficienza protettiva, anche se l’eccessivo peso del tessuto esponeva l’indossatore ad effetti negativi dal punto di vista respiratori e del comfort. Così si è arrivati alla metà del secolo quando sul mercato sono state introdotte mascherine monouso costituite da un tessuto non tessuto sottile in fibra di vetro. Solo agli inizi degli anni ’90, le fibre di vetro che erano irritanti per la pelle sono state sostituite con materiali largamente impiegati nell’industria tessile quali il propilene, il poliestere, il nylon e la cellulosa.

Tra queste fibre tessili, il polipropilene è il materiale maggiormente utilizzato sia per la sua natura idrofobica che quindi rende la mascherina idrorepellente, sia per la sua struttura porosa che rende la mascherina adsorbente, in modo da garantire un microclima ottimale tra il viso e il facciale della mascherina.

Le comuni mascherine chirurgiche monouso sono costituite da tre stati di tessuto non tessuto (TNT) in polipropilene realizzati con diverse tecniche di produzione a seconda della loro funzione. Lo strato esterno, a forma di conchiglia, è un TNT di polipropilene spun-bond, realizzato mediante l’omonima tecnica che consiste nel depositare su una tela di raccolta filamenti continui in modo casuale ed uniforme. Lo strato esterno è una sorta di velo che fa da copertura ed è la parte più esposta all’ambiente circostante. Lo strato intermedio è costituito dal filtro vero e proprio, in quanto è in grado di trattenere principalmente particelle di aerosol, microrganismi e fluidi corporei pericolosi: è un TNT di polipropilene melt-blown ottenuto da filamenti di polimeri estrusi attraverso speciali teste. Attraverso questa tecnica si ottengono microfibre dal diametro variabile, ed è proprio questa la peculiarità che consente di ottenere le capacità filtranti del tessuto in polipropilene. Infine, lo strato più interno è sempre un TNT in polipropilene spun-bond che funge da nastro separando il sistema filtrante dalla pelle del viso. Le mascherine sono dotate di elastici che solitamente sono fatti in poliestere. Molte mascherine presentano anche una componente metallica cucita all’interno nella parte superiore del facciale per evitare lo scivolamento sul naso. Un altro materiale utilizzato sia per il facciale sia per i lacci della mascherina è il nylon.

Quindi ricapitolando, le mascherine chirurgiche largamente usate sono composte principalmente di polipropilene, poliestere e nylon. Questi materiali sono abbastanza sicuri per la salute (elevata biocompatibilità), e riconosciuti all’interno del sistema MeSH dalla National Library of Medicine statunitense come polimeri impiegati nel biomedicale e come materiali dentali. I tessuti in polipropilene, poliestere e nylon sono costituite dalle fibre sintetiche ottenute dal processo di estrusione dei granuli fusi di questi tre materiali polimerici. Il polipropilene, il poliestere e il nylon non sono altro che delle plastiche. 

Di conseguenza, produrre mascherine monouso equivale a produrre plastica monouso sulla quale è praticamente impossibile attuare qualsiasi tipo di misura restrittiva a favore dell’ambiente.

Per quali motivi? Innanzitutto, se consideriamo il periodo di emergenza sanitaria, è sotto gli occhi di tutti che il contenimento del contagio ha la priorità assoluta, pertanto l’utilizzo delle mascherine è altrettanto prioritario ed è consigliato indossare quelle chirurgiche (più efficaci e sicure) rispetto alle “fai da te”. Poi c’è da precisare che in quanto dispositivi medici le mascherine chirurgiche non rientrano nell’applicazione della Direttiva 2019/904, tesa a ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica monouso sull’ambiente. Infine, le mascherine chirurgiche (ma anche i DPI) devono essere smaltite nei rifiuti indifferenziati, non possono essere assolutamente riciclati, soprattutto perché potrebbe trattarsi di materiale infetto e quindi pericoloso. In questo contesto è quindi chiaro che siamo di fronte alla possibilità che l’uso massiccio di mascherine monouso possa avere un impatto fortemente negativo su diversi ecosistemi, in primis quello marino.

Infatti, già da diverse settimane, diverse organizzazioni ambientaliste ed inchieste giornalistiche hanno mostrato immagini di mascherine monouso disperse sia in mare sia nell’ambiente, provenienti da tutto il mondo. Disperdere nell’ambiente una mascherina monouso equivale a disperdere una bottiglia di plastica che non si degrada e resta lì per molto tempo. Nei mari e negli oceani questi materiali vanno a danneggiare l’intero ecosistema, innescando una catena di effetti negativi che a lungo termine ricadranno anche sull’uomo.

Le autorità competenti sono state invitate a dare delle indicazioni precise sullo smaltimento di mascherine monouso, nonché di altri indumenti protettivi monouso come i guanti. L’unico modo è la raccolta come rifiuto indifferenziato che quindi ne prevede l’incenerimento. Date le circostanze, starà a noi cittadini fare la nostra parte rispettando le regole e le indicazioni di utilizzo e smaltimento per tutelare la nostra salute sia nell’imminenza della crisi da Covid-19 che in un futuro più pulito e sostenibile.

Anna Sagnella 

Foto di cromaconceptovisual da Pixabay
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